lunedì 31 marzo 2008

Nucleare - Si, grazie.

L'Europa riparte dal nucleare: siglata a Londra l'intesa anglo-francese.

(Marco Ricotti - 27/03/2008 -
www.ilsussidiario.net)
Nucleare, tanti luoghi comuni da sfatare. Scorie comprese

Non è poi così ardito, l’utilizzo dello slogan elettorale veltroniano accostato a quello che parrebbe uno dei temi della campagna berlusconiana: il ritorno al nucleare. Dopo l’uscita del Cavaliere, non si sono registrati strali da parte del PD, ma solo distinguo: “non ora, ma lavoriamo per il nucleare di quarta generazione”.Sarà il mio unico accenno alla cronaca politica. L’argomento infatti richiede ben altra dedizione, pacatezza e concordia “multipartisan”, che non si può triturare nel tourbillon elettoral-mediatico. Soprattutto necessita di qualche informazione di base. Sinora troppo scarsa e faziosa, per poter anche solo impostare il percorso verso una scelta consapevole.Perché oramai di scelta si tratta: il problema energetico è finalmente emerso allo scoperto, il nucleare è un’opzione da valutare, sospinta dal costo del petrolio e dai timori sull’ambiente, ed è un costo anche il non decidere. Ecco, quindi, alcuni dati e alcune considerazioni.
La sicurezza
Il nucleare di oggi è già sicuro: si è giunti ad un equivalente di oltre 24.000 reattori-anno di esperienza operativa, gli unici incidenti rilevanti sono stati quello di Three Mile Island (1979), che non ha causato vittime e danni all’ambiente, e quello di Chernobyl (1986), doloso e catastrofico, ma irripetibile nel resto del mondo per la presenza, in tutti i reattori, di un sistema di sicurezza fondamentale quale il contenitore esterno. Se poi si considerano parametri tecnico-scientifici per la misura del rischio reale, si osserva che spesso la frequenza attesa di un evento severo e simile a quello accaduto a Three Mile Island è di 1 su 100mila o 1milione di anni, ovvero l’ordine di grandezza di un evento quale la caduta di un grande meteorite sulla terra, come accadde milioni di anni fa allorché scomparvero i dinosauri.Ma l’alto livello di sicurezza raggiunto nel nucleare non è solo questione di tecnologia e di sistemi, è soprattutto l’effetto di una cultura della progettazione, della gestione e del controllo che mette la salvaguardia della salute degli operatori, della popolazione e dell’ambiente prima di ogni altra cosa. Nessuna o pochissime attività tecnologiche umane vengono “vivisezionate” per anni come il nucleare prima di ricevere l’approvazione e il via libera da parte delle autorità di controllo e sicurezza: dalla fase di progettazione (almeno 3 anni), alla scelta del sito (almeno 2 anni) sino alla fase di costruzione ed esercizio dell’impianto (altri 2 anni).Il grado di sicurezza raggiunto è indirettamente testimoniato dall’aumento dei valori degli indicatori di performance dei reattori: una migliore capacità di gestione è compatibile solo con un elevato tasso di sicurezza, altrimenti il reattore viene arrestato. Nel 2006, la media mondiale di arresti forzati dei reattori è stata di 0.5 eventi/anno, con una riduzione di oltre il 70% rispetto al 1990. La mancata produzione di energia dovuta a interruzioni non pianificate è stata ridotta del 54% tra il 1990 e il 2006. Nello stesso periodo, la dose di radiazione assorbita dal personale delle centrali, già ben sotto i limiti di sicurezza, si è addirittura ridotta ad un terzo .I reattori di nuova generazione non potranno che migliorare ulteriormente queste caratteristiche. Con l’utilizzo di sistemi di sicurezza passivi basati su leggi naturali, che non necessitano l’intervento umano o alimentazioni di energia dedicata, o seguendo la strategia Safety-by-Design, volta ad eliminare alcuni pericoli e potenziali incidenti sin dalla fase di progettazione.E riducendo anche i rischi di proliferazione nucleare, come proposto dall’iniziativa Gnep (Global Nuclear Energy Partnership), lanciata dal Dipartimento dell’Energia (Doe) Usa e alla quale l’Italia partecipa, attraverso l’adesione siglata dal ministro Bersani. Gnep prevede di offrire tecnologia nucleare e combustibile “in leasing” ai paesi che intendono entrare nel nucleare, garantendo il recupero del combustibile esaurito e il bruciamento delle scorie nucleari, riducendone radiotossicità e tempo di vita, in apposti reattori da sviluppare e da realizzare in paesi “stabili” quali ad esempio Usa e Francia. Sempre mantenendo un forte controllo internazionale.
I costi
Sui costi di produzione dell’energia nucleare non mi dilungo, poiché sarà tema di altri contributi. Mi limito a sottolineare che in uno studio condotto nel 2005 dall’Iea (International Energy Agency, un ente non accusabile di filo-nuclearismo) e dalla Nea (Nuclear Energy Agency) , si riportano i range dei costi di produzione previsti (levelised costs), con il nucleare tra i 31 e i 53 Us$/MWh, mentre il gas è tra i 43 e i 59 Us$/MWh e il carbone tra 28 e 59 Us$/MWh. Quindi pienamente competitivo, nonostante un 10% di tasso di sconto ipotizzato per il denaro.
Le scorie
E veniamo quindi ad uno dei temi più sensibili, sul quale si addensano le accuse e le scuse per dire no al nucleare: i rifiuti. Una doverosa premessa: basta col fare sempre i primi della classe! Magari bravi (non è il nostro caso), ma spesso terribilmente antipatici. Possibile che scopriamo sempre i problemi prima degli altri, o ancor peggio a differenza degli altri? Lo è stato sulla sicurezza, nel dopo Chernobyl, e abbiamo chiuso le centrali nucleari che avevamo.Ora, senza entrare nel merito del tema specifico, chiediamoci: chi ha già il nucleare (alias tutti i paesi più industrializzati più una buona fetta delle economie emergenti), è un fesso, oppure un assassino che mette in pericolo la vita e la salute dei propri cittadini, per generazioni? Siamo ancora una volta i più intelligenti?Il problema è eminentemente culturale: non si accetta che la nostra azione sulla natura abbia una conseguenza (potenza e responsabilità dell’agire umano), che sia per sua natura imperfetta e che pur ci siano motivi validi (il bene comune, lo sviluppo) per continuare ad agire. Ingegnandosi per limitare i danni e per trarre il massimo vantaggio. Quindi, via libera a discariche, inceneritori, raccolta differenziata, risparmio energetico, garantendo rispetto per le persone e per l’ambiente.Se così deve essere, allora i rifiuti nucleari sono un problema contenuto in termini di volumi e masse, che è sempre stato affrontato con grande attenzione e con grandi margini di sicurezza, dando sfoggio di tecnologia. Qualche numero per rendere l’idea: un francese, che consuma energia elettrica praticamente solo da fonte nucleare, produce ogni anno 3000 kg di rifiuti di ogni tipo, che comprendono 100 kg di rifiuti tossico-nocivi (chimici, metalli pesanti non degradabili, etc.) i quali includono 1 kg di rifiuti nucleari, dei quali solo 0.05 kg sono i rifiuti radioattivi pericolosi a lunga vita (oltre 30 anni). In definitiva, un francese nell’intera sua vita, 70 anni almeno, produce una quantità di rifiuti nucleari pericolosi la cui quantità starebbe in una sfera di vetro sul palmo di una mano. I metri cubi giornalieri di rifiuti che crescono sul ciglio delle strade campane non saranno radioattivi, ma non pongono meno problemi.Pensare che non si possano realizzare depositi adeguati per trattare gli uni e gli altri, pare francamente improbabile nel 2008. Si dirà: ma i rifiuti nucleari permangono per migliaia di anni. Per ora è ancora così, probabilmente non lo sarà in futuro con lo sviluppo dei reattori per il bruciamento delle scorie. E teniamo pure conto che la piramide di Cheope, tecnologicamente meno sofisticata di un deposito nucleare, è pur sempre in piedi da almeno 4500 anni.In conclusione, nessuno intende sminuire la criticità, la delicatezza, la complessità della questione nucleare. Ma la realtà urge che si prenda posizione su alcuni problemi “tecnici”, dai rifiuti convenzionali alle infrastrutture per i trasporti all’energia. Sul nucleare, si prenda una decisione politica, si muovano anche i corpi intermedi, le associazioni, gli industriali. Ma non ci si nasconda dietro a presunti problemi tecnologici insormontabili.

mercoledì 26 marzo 2008

Maschio o femmina? uomo o donna?

Ogni giorno si leggono notizie di ogni genere, ma questa è abbastanza incredibile.

Incinta uomo con organi femminili

"Prima ha deciso di diventare uomo, poi ha pensato di mettere al mondo un figlio. E' questa l'incredibile storia di Thomas Beatie, un americano di Portland, che durante il percorso per cambiare sesso ha mantenuto gli organi riproduttivi femminili e interrompere l'uso di testosterone per poter rimanere incinta. Nonostante l'ambiente della sanità si opponesse all'inseminazione artificiale, Beatie e sua moglie diventeranno genitori a luglio.
L'ex donna ora uomo ha deciso di raccontare la sua inedita esperienza alla rivista gay The Advocate. Thomas ha svelato che otto anni fa decise di diventare uomo, facendosi operare e iniziando una terapia di testosterone.
Nessun intervento, invece, agli organi sessuali. Nel frattempo è diventato maschio anche per la legge e ha sposato Nancy, che è diventata sua moglie. La donna, però, non poteva avere figli e e quando è arrivata la conferma di questo intoppo, Beatie ha deciso di mettere al mondo un bambino lui stesso.
Le difficoltà sono state notevoli perché nessuno voleva partecipare a questo "esperimento". Così la coppia ha deciso di acquistare dello sperma in modo anonimo. Dopo un primo tentativo andato male, finalmente Thomas è rimasto incinta di una bambina. "E' incredibile essere un uomo incinta", ha detto."

Per completezza:
Il maschio è uno dei due sessi (insieme alla femmina) nelle specie che utilizzano la riproduzione sessuata. Il maschio fornisce il gamete maschile.
La femmina è uno dei due sessi (insieme al maschio) nelle specie che utilizzano la riproduzione sessuata dioica o partenogenetica. La femmina produce solo gameti femminili.
L'uomo (dal latino homo) è un umano maschio adulto. La femmina adulta è chiamata donna. Il termine uomo (plurale: uomini) è utilizzato per indicare la distinzione biologica tra i sessi, la distinzione culturale legata al genere, o entrambi.

Vogliamo continuare a scherzare con la natura? Qual'è il limite? Anche se ritengo che si debba parlare di donna in questo caso.

Ritorniamo alle lettere?

"Ogni giorno gli italiani ricevono 350 milioni di e-mail. Io da qualche settimana un po’ meno. Ho cambiato indirizzo di posta in segreto, calcolando forse con troppo ottimismo che ci vorranno almeno due anni prima che venga a conoscenza di un numero di persone sufficiente a intasarlo daccapo. Vi posso assicurare che è un’altra vita. Ormai la mattina accendevo il computer con l’ansia di chi si prepara a fronteggiare un’invasione. Come milioni di altri disperati, iniziavo le giornate con un eccidio, decimando decine di messaggi inutili - pubblicità, trappole, bufale, barzellette, catene di Sant’Antonio - senza neanche aprirli, tanto che nella mia furia iconoclasta finivano ghigliottinati anche i pochi che avrei magari voluto guardare.Sbrodolavo un’altra porzione consistente del mio tempo nel fronteggiare la costernazione di chi, avendomi mandato una e-mail, riscriveva mezz’ora dopo, stupito e amareggiato che non gli avessi ancora risposto. Per non deluderli, mi ero ridotto a replicare con messaggi monosillabici, autentici grugniti angloelettronici: ok, boh, bye. Mi trascinavo sommerso dai sensi di colpa fino a tarda sera, quando riaprivo la posta per affrontare l’ultima mareggiata, impreziosita dai messaggi di certe Melissa e Samantah che manifestavano familiarità nei miei confronti, invitandomi a raggiungerle nei siti più svariati. Ora vado al nuovo indirizzo e ci trovo due, massimo tre e-mail, alle quali è bellissimo rispondere con cura… Veramente stamattina erano quattro. E stasera cinque. Appena mi riacchiappa pure Samantah, cambio indirizzo di nuovo."
(Massimo Gramellini - La Stampa)

Io per adesso resisto, ma se Samantah continua, lo cambio anche io l'indirizzo.

sabato 22 marzo 2008

La tenerezza di Dio

"L'uomo ha per Dio un valore così grande da essersi Egli stesso fatto uomo per poter com-patire con l'uomo, in modo molto reale, in carne e sangue, come ci viene dimostrato nel racconto della Passione di Gesù, .... e così sorge la stella della speranza." (Benedetto XVI)

Auguri di BUONA PASQUA a tutti quelli che passano da questo blog.

mercoledì 19 marzo 2008

TIBET : Appello di Benedetto XVI

Appello di Benedetto XVI alla pace in Tibet al termine dell'udienza generale del mercoledì nell'Aula Paolo VI:
«Con la violenza non si risolvono i problemi, ma solo si aggravano. Seguo con grande trepidazione le notizie che in questi giorni giungono dal Tibet. Il mio cuore di Padre sente tristezza e dolore di fronte alla sofferenza di tante persone. Il mistero della passione e morte di Gesù, che riviviamo in questa Settimana Santa ci aiuta ad essere particolarmente sensibili alla loro situazione. Con la violenza non si risolvono i problemi, ma solo si aggravano. Vi invito ad unirvi a me nella preghiera. Chiediamo a Dio onnipotente, fonte di luce che illumini le menti di tutti e dia a ciascuno il coraggio di scegliere la via del dialogo e della tolleranza»

lunedì 17 marzo 2008

TIBET, DIRITTI UMANI, OLIMPIADI

A volte ritornano. Dopo quasi un mese di inattività (sul blog) ricomincio a scrivere. Lo faccio partendo da un fatto di cronaca molto attuale. Sono rimasto colpito da quello che succede in Tibet. Come già era successo in Birmania la rivolta improvvisamente è scoppiata.

I diritti umani in Cina sono violati quotidianamente, la libertà dell'individuo è praticamente negata (vedi la repressione nei confronti della Chiesa Cattolica), la situazione in Tibet è esplosiva.
Nessuna potenza vuole inimicarsi la Cina. Si parla delle Olimpiadi come la soluzione per il problema dei diritti umani, ma alcune federazioni vietano agli atleti di parlarne (vedi Gran Bretagna, anche se poi ha ritirato il tutto).
Quale soluzione ? Sicuramente le Olimpiadi possono essere una grande vetrina e una possibilità per un cambiamento, ma se sulla vetrina c'è una decalcomania e dietro il negozio vuoto, non ci siamo.

Riporto un articolo di Bernardo Cervellera pubblicato su www.Asianews.it

"Il sangue del Tibet sulla Pechino dei Giochi"

Dieci morti e i carri armati a Lhasa sono la risposta cinese al “terrorismo” tibetano, che riesce ad esprimersi solo con proteste, marce di monaci e civili, negozi in fiamme, auto bruciate.

A quasi 50 anni dalla rivolta repressa nel sangue, che ha portato all’esilio il Dalai Lama e decine di migliaia di tibetani, una nuova fiammata rischia di far divampare un incendio violento. Il tutto a pochi mesi dalle Olimpiadi, che Pechino sbandiera come i Giochi della pace e della fraternità universale.

Sono proprio le Olimpiadi ad aver acceso la scintilla. Atleti tibetani hanno domandato di partecipare alle Olimpiadi sotto la bandiera del Tibet, ma la Cina lo ha negato. Per le cerimonie d’inizio e fine dei Giochi sono previste performance di danzatori tibetani sorridenti sotto la bandiera cinese, mentre a Lhasa e nel Tibet la popolazione rischia il genocidio.

Un genocidio anzitutto economico: le alte terre himalayane, ricche di minerali, sono disseminate di scienziati cinesi che ricercano miniere di rame, uranio e alluminio, mentre ai locali non resta che l’abbandono dei loro pascoli e il lavoro nelle fabbriche cinesi. Il turismo, con il suo strascico di alberghi, karaoke, prostituzione, è tutto in mano ai milioni di coloni cinesi, violentando la cultura ancestrale.

La Cina dice che tutto questo serve per lo sviluppo della popolazione. Forse è anche vero, se non ci fosse anche il genocidio culturale e religioso: nessun insegnamento della religione e della lingua tibetane; nessuna esibizione o lode al Dalai Lama, controllo di ferro sui monasteri e i civili grazie allo spiegamento di oltre 100 mila soldati cinesi.

Nel ’95 il controllo di Pechino è giunto fino a determinare il “vero” Panchen Lama, eliminando quello riconosciuto dal Dalai Lama. E dallo scorso settembre, tutte le reincarnazioni dei buddha (fra cui quella del Dalai Lama stesso, ormai 70enne), per essere “vere”, devono avere l’approvazione del Partito.

Le proteste di questi giorni, portate avanti soprattutto da giovani monaci e civili sono il frutto della disperazione davanti al lento morire di un popolo impotente. Tale disperazione è creata anche da Pechino. Per tutti questi anni il Dalai Lama ha proposto alla Cina una soluzione pacifica, con un’autonomia religiosa per il Tibet, rinunciando all’indipendenza.

Vi sono stati anche incontri fra rappresentanti del governo tibetano in esilio e le autorità del governo cinese. Ma quest’ultimo, alla fine, ha sempre sbattuto la porta in faccia, sospettando chissà quali mire indipendentiste nell’Oceano di Saggezza (un altro nome del Dalai Lama), che ormai desidera solo essere un leader religioso.

La mancanza di segni di speranza porta a gesti disperati. Temiamo che la situazione a Lhasa diventi sempre più incandescente o spinga la Cina a soluzioni estreme, con la scusa di combattere “il terrorismo separatista”. Per la Cina è il momento della verità: dopo essersi preparata a diventare un Paese moderno per le Olimpiadi, deve mostrare di essere tale anche nel risolvere crisi sociali e di libertà. L’apertura di un dialogo col Dalai Lama sarebbe il passo da fare. Sembra quasi una nemesi storica che a decidere questo debba essere il presidente Hu Jintao.

Nel marzo ’89 vi è stata un’ennesima rivolta in Tibet, conclusa con un massacro e con la legge marziale, decretata proprio da Hu Jintao, a quel tempo segretario del Partito a Lhasa. Pochi mesi dopo vi è stato il grande massacro di Tiananmen a Pechino. Ma dopo quasi 20 anni Hu Jintao si trova davanti agi stessi problemi. La repressione non ha risolto nulla: è tempo per un altro tipo di soluzione.